LETTERA NATALIZIA ALLE FAMIGLIE DELLA MIA AMATA DIOCESI

sabato 19 dicembre 2009

Carissimi,
con discrezione oso bussare alla vostra porta, vorrei entrare nelle vostre case per salutare e visitare ogni famiglia. A tutte desidero rivolgere il mio saluto cordiale e sincero, ripetendo sulla soglia di ogni casa questo augurio apportatore di grazia: «Pace a questa casa e a coloro che vi abitano!».
È la pace donata da Dio, nel Natale di Gesù, a tutti gli uomini da lui amati. È la pace che il Signore crocifisso e risorto ha comunicato ai discepoli la sera di Pasqua. È la pace vera che riempie il cuore di gioia e di speranza nella fede.
Nessuna famiglia si senta esclusa da questo augurale saluto di pace e dall’affetto che lo connota. Ciascuna famiglia – soprattutto se vive qualche difficoltà, se sta rischiando di perdere la speranza o se l’ha già smarrita – possa riconoscere in questo affetto un pallido ma vero riflesso dell’amore del Signore.
Ad ogni famiglia auguro di vedere in questa mia lettera una eco e un prolungamento della visita che Dio stesso ha compiuto nella storia dell’umanità con l’Incarnazione del suo Figlio Gesù.
In questo farmi presente in ogni casa vi auguro di sperimentare la vicinanza della Chiesa, quale segno visibile della visita interiore che Dio, in Gesù e mediante il suo Spirito, continua instancabilmente a realizzare nel cuore di ogni uomo e donna.
Così, con discrezione e rispetto, busso alla porta della vostra casa.
So che molti sono contenti di accogliere questo scritto come fosse una «visita nel nome del Signore». Mi affretto, perciò, a venire in queste case per condividere la fede, la lode al Signore e la preghiera con cui intercedere per tutti.
So che in molte case ci sono tanti problemi e disagi e che una visita può sembrare più un disturbo che non un dono. Mi permetto, tuttavia, di bussare anche a queste porte. Sono certo che un momento di sosta, l’ascolto di una parola che viene dal Signore, un gesto semplice e concreto di attenzione della Chiesa possono aiutare a sciogliere molte tensioni e ad affrontare, con serenità e coraggio, ogni situazione.
So che ci sono anche case in cui alcuni risentimenti o qualche fraintendimento delle intenzioni della Chiesa possono rendere indesiderabile la visita del Vescovo. Anche a queste porte desidero bussare. Anche in queste case mi piacerebbe poter entrare per mettermi in ascolto umile e attento, per compiere un gesto di riconciliazione, per offrire una parola di speranza. Forse le porte e i cuori si apriranno. Forse si potrà avviare un dialogo in cui ci si può capire, spiegare, perdonare e voler bene. Forse la parola del Signore da tanto tempo ignorata potrà rivelarsi come parola amica, capace di donare gioia e pace.
Sì, in ognuna delle vostre case vorrei far risuonare questo annuncio gioioso e pacificante: «Dio ti ama; Gesù è venuto a visitare il suo popolo e gli viene sempre incontro con la sua grazia; Cristo è venuto e continuamente viene per te; per te è nato; con te ha gioito e sofferto; per te è morto e risorto; per te Egli è via, verità e vita!».
Desidero dire una parola agli anziani di casa, ai nonni.
Carissimi,
forse talvolta vi viene da pensare: «Le mie forze vengono meno, mi rendo sempre meno utile: che cosa sarà di me?». Sì, tra acciacchi e voglia di fare, tra malumori e devozioni, vi domandate: «Ma che sarà di me?».
Vorrei, allora, sedermi vicino a voi. Con persone della vostra età anche un Vescovo ha sempre qualcosa da imparare!
Vorrei proporre un pensiero che guardi al futuro con la luce e il sostegno della fede. Quando pensate al futuro, non abbiate paura! Il futuro, per voi che avete tanto pregato e avete fatto tanto bene, non deve spaventarvi con l’incubo cupo della morte: deve piuttosto sorridervi con il volto amico di Gesù. Rinnovate, perciò, la vostra speranza e sappiate testimoniarla a chiunque vi incontra.
Guardate avanti con fiducia e con speranza: il Signore viene! È Lui la nostra gioia, la nostra pace, la nostra salvezza!
Con tanti auguri e con un vicendevole ricordo nella preghiera.
Ed ora una parola a voi che siete genitori.
Carissimi,
vi saluto dal profondo del cuore e vi ascolto volentieri. Ci sono momenti in cui vi sentite impotenti di fronte al mutismo risentito o alla reazione sproporzionata di vostro figlio per un permesso negato. Ci sono momenti in cui avvertite che il suo mondo, i suoi sogni, le sue amicizie non vi appartengono più. Non è che dica bugie – almeno si spera! –; è che custodisce tutto con invincibile gelosia.
Ci sono momenti in cui vi sembra di essere falliti come educatori.
Le vostre parole, i comportamenti buoni che avete insegnato, gli interessi che avete condiviso, tutto sembra caduto nel nulla. E vi interrogate a più riprese: «Ma facciamo bene a fare così? Che cosa sarà di lui? Quale strada prenderà nella vita? Di tutto quello che gli abbiamo insegnato sull’essere serio e onesto, sul pregare e sull’andare a Messa, che cosa gli resterà?».
Ci sono momenti in cui finite per litigare tra voi accusandovi a vicenda: «Tu sei troppo permissiva»; «E tu, invece, sei troppo rigido; non hai mai tempo di ascoltare; vuoi intervenire su tutto»; «Ma non capisci che certe cose sono irrinunciabili?». Ci sono sere in cui non vi accorgete neppure di che cosa state mangiando, tanto siete tesi e arrabbiati.
Vi pare di non essere più all’altezza del vostro compito di genitori.
Vi viene la voglia di lasciar perdere tutto.
Vi ascolto volentieri, ma non ho ricette, non ho risposte a tutte le vostre domande. Voglio, tuttavia, incoraggiarvi e aiutarvi ad avere fiducia. Non tutto è sulle vostre spalle, il Signore non vi abbandona! Tenete presente, inoltre, che l’educazione di una persona non è come la programmazione di una macchina. Ognuno è responsabile delle proprie scelte e non è giusto addossare ai genitori le colpe dei figli. Anche per questo si può avere fiducia e dare fiducia, certo senza sottrarsi al compito di chiamare le cose con il loro nome, di dire sì o no, di smascherare le scuse contorte che talora i ragazzi adducono per giustificare pigrizie, volgarità, intemperanze.
Pensate che quello che davvero resterà sarà il ricordo un uomo e di una donna che si amano, che sono persone serie, capaci di far fronte alle difficoltà, oneste e sincere nelle loro scelte, disposte a riconoscere errori e limiti, sostenute dalla fiducia in Dio.
Vi accompagno con la mia preghiera, il mio augurio e la mia benedizione.
Desidero dire – con discrezione – una parola a voi che forse vivete un momento di difficoltà come coppia.
Carissimi,
desidero portarvi la benedizione del Signore. Desidero portarla nella vostra casa. Voi vi siete voluti molto bene e c’erano buoni motivi per immaginarvi felici. Ma poi è successo qualcosa; qualcosa è cambiato…
Chi può raccontare il segreto della vostra storia? Chi può sapere perché e quando è avvenuto che si sia spenta la fiducia e come sia possibile che un altro – un’altra, chiunque... – risulti più simpatico, desiderabile, comprensivo?
Lasciate che mi possa sedere con voi, in casa vostra. Non intendo essere invadente. Non ho la presunzione di possedere ricette risolutive. Mi sta a cuore la vostra gioia; mi sta a cuore il vostro matrimonio! Lo so e lo sapete anche voi: una rottura non può essere una soluzione; è piuttosto una tragedia. Vorrei aprirvi alla speranza. È una speranza certa e duratura, che resiste contro ogni evidenza e ogni speranza. Sì, perché la speranza di cui vi parlo è la speranza che viene dal Signore!
Sperate nel Signore. Lui è l’unico che non delude! Forse, nelle difficoltà che state vivendo, vi viene da pensare che anche il Signore si sia dimenticato di voi. Non è così. Dal giorno del vostro matrimonio, il Signore si è legato indissolubilmente a voi, ha preso dimora nella vostra coppia e continua a restare con voi.
Io pregherò per voi, perché sono certo che il Signore sta per venire a visitarvi. Se aprirete la porta, potrà rivelarvi il segreto della sua gioia e invitarvi a nuovi cammini.
Con il mio augurio più vero e più sincero.
Ancora una parola per te, che sei papà e sei senza lavoro, sei “in cassa integrazione”.
Carissimo,
questa mia lettera ti raggiunge “a casa”, mentre il tempo non passa mai. Ti raggiunge “a casa” perché sei senza lavoro.
Sei in “cassa integrazione”. Purtroppo l’economia vive di grandi numeri, di statistiche e di diagrammi, di leggi di mercato e di calcoli complicati: e si crede che non possa essere che così! Poi i grandi esperti tirano le somme e decretano chi è in esubero e deve stare a casa. Così resta segnata la sorte di molte persone e delle loro famiglie. Sulle tabelle e nei ragionamenti degli strateghi dell’imprenditoria e dell’economia non hanno posto i volti di queste persone né si vedono le loro storie e le loro sofferenze. Ma dietro a quelle tabelle e a quei numeri stanno persone concrete, con le loro umiliazioni, le loro incertezze e i loro drammi; c’è una speranza che si affievolisce o che viene meno.
Tutto questo tu lo sai molto bene, perché tra quelle persone ci sei anche tu con la tua umiliazione di stare con le mani in mano.
Se poi guardi avanti, ti senti perduto. Ti nascono dentro domande che ti angosciano e per le quali non intravedi risposte soddisfacenti: «Come si farà domani? E se i figli volessero andare avanti a studiare? E se la vecchia caldaia si rompe?».
Vorrei dirti tutta la mia fraterna vicinanza e la mia cordiale solidarietà. Vorrei dirti quanto mi prendo a cuore la tua situazione e quanto mi piacerebbe contribuire a risolvere questo dramma che affligge migliaia e migliaia di persone come te.
Come Vescovo non posso individuare le soluzioni tecniche, economiche, sociali e politiche per risolvere questo stato di crisi occupazionale che ti coinvolge. Ho però la missione di richiamare i valori della persona umana con le esigenze etiche che ne derivano, di domandare giustizia e responsabilità, di esprimere e di vivere autentica solidarietà. A questa missione non intendo rinunciare. Spero che anche questo possa contribuire a farti rinascere nel cuore un po’ di speranza: se non altro non sei solo, e già questo può dare qualche consolazione.
Sento il dovere di riaffermare con convinzione che il diritto al lavoro va tutelato e promosso senza lasciare nulla di intentato: che ne è, infatti, dell’uomo, se l’uomo perde il suo lavoro?
Mentre ti esprimo questa vicinanza e condivisione, mi sembra di avvertire che tu ti prepari alle feste che vengono con l’animo amareggiato e che continua a pesarti l’incertezza del futuro. Vorrei, perciò, trovare le parole e gli atteggiamenti giusti che ti aiutino a recuperare la speranza smarrita e che ti incoraggino ad avere fiducia. Guarda avanti con fiducia e non perderti d’animo!
Te lo auguro confermandoti la mia vicinanza e assicurandoti un ricordo nella preghiera.
In questi giorni di preparativi e di feste il mio pensiero va anche, con insistenza, a tante situazioni di prova e di dolore.
Penso alle persone anziane e sole e invoco per loro messaggeri di speranza. Forse là, dove non arriva l’ascensore, possono arrivare persone buone spinte da un desiderio di consolare e di stare vicino.
Penso ai tanti ammalati che si trovano nelle case, in ospedale, nelle case di accoglienza... E vorrei fare una sosta, per avvicinarmi a ogni letto e benedire ogni speranza di guarigione. E invoco che vicino a ogni malato ci sia un messaggero di speranza. Siano benedetti coloro che non lasciano passare i giorni di festa senza aver fatto visita a un ammalato, senza aver recato un segno di affetto a chi è solo, senza aver lasciato una parola di fede a chi è tentato di disperazione.
Nel Signore è la nostra forza! In Lui è la nostra fiducia! Lui è la nostra speranza! Così vi auguro e così sia per ognuno di voi.
Con il mio ricordo e la mia benedizione.

Casale Monferrato, dicembre 2009

Vostro affezionatissimo
+ Alceste Catella, vescovo

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